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In viaggio con le storie

Una bella lezione svolta da docente all'OBE mi ha spinto a riflettere un po' sul ruolo delle storie (anche nel mio viaggio personale).
Pubblicato il 28 Gennaio 2023

È sabato. Un weekend che arriva dopo quindici giorni di fuoco dove ho lavorato un sacco, non solo per Bakeca ma anche in qualità di professionista e consulente.

Fra le altre cose fatte, sono tornato in aula.

In primis dopo due anni particolari alla Scuola Holden lavorando con una classe molto bella, mentre ieri ho debuttato insieme a un caro amico al master dell’Osservatorio di Brand Entertainment, dove abbiamo parlato di storie e di come esse si stiano rinnovando.

Già, il rinnovamento delle storie. Un tema su cui mentre tornavo in treno ho continuato a interrogarmi, e che meriterebbe un ragionamento.

Dove vanno le storie

Il cuore dell’intervento che abbiamo fatto all’Osservatorio di Brand Entertainment è stato sulla Transmedialità. Un modello su cui ho cominciato a lavorare dal 2014 e che ha visto coronare il frutto della ricerca che ho fatto in Transmedia Experience, il libro che pur essendo uscito nel 2020 continua a mio modesto avviso essere molto attuale.

Mentre raccontavamo di modelli di narrazione transmediale e come questi possano entrare nelle strategie di brand, mi sono reso conto di come sia cambiato in tutti questi anni anche ciò che porto in aula.

Con il passare del tempo, infatti, parlare di Storytelling è diventato meno faccenda di “storie” e più questione di metodo.

Il problema è che per motivi legati a una gestione perlomeno allegra della terminologia (la parola “Storytelling” usata in luogo di “storia” è stato il primo passo, oggi vediamo lo stesso fenomeno per “narrazione” e quello che è diventato erroneamente un sinonimo, il terribile neologismo “narrativa”) è diventato normale pensare all’applicazione delle tecniche narrative come una semplice faccenda di contenuto.

È stato così per anni, progressivamente perdendo riferimenti di come ci fossero gli ingredienti per innalzare il livello arrivando a “pensare narrativo”, sfruttando gli strumenti che le tecniche di progettazione offrivano.

Il risultato è che oggi parlare di Transmedia risulta innovativo, pur vivendo in un contesto che richiede di pensare secondo logiche di piattaforma e in cui Omnicanalità è diventata parola molto diffusa.

Ma se ragioniamo per sistemi complessi in molti campi, perché risulta difficile immaginare storie complesse a livello strutturale?

Proprio perché siamo rimasti ancorati a un’idea di racconto verticale e a compartimenti stagni, meno collegato al principio di esperienza.

Da qui, la riflessione: le storie sono andate più veloci di noi.

Un po’ come la tecnologia, e forse la Storia, gli uomini tendono a lasciare che le cose accadono.

Il mio cammino, la mia ricerca

Ho scelto per questo post le scarpe che indossavo ieri, che sono uguali a tutte quelle che ho indossato in questi anni. Essendo scaramantico e stilisticamente monotono, acquisto sempre lo stesso modello.

In questi anni ho solcato tante aule, ho fatto tante riunioni, tenendo sempre a mente come queste regole potessero portare vantaggio alla mia azienda o ai miei clienti.

Ho cambiato il mio approccio cercando di ricercare il modo per anticipare i modelli che sarebbero arrivati, e mi sono reso conto che a volte è stato un cammino difficile: a maggior ragione quando mi mancavano i riferimenti per capire cosa cercare.

Nelle storie questo è molto fluido. Il mondo è ricchissimo di studi, spunti, intuizioni che possono offrire un’illuminazione per identificare un sentiero da percorrere, ma è compito di chi osserva mettere insieme i puntini.

Mi sono reso conto di quanto la ricerca che ho compiuto mi ha in questi anni è stata svolta assumendo una postura tattica: esattamente lo stesso errore che i dibattiti mainstream hanno provocato.

Cercavo la case senza interrogarmi su come le strutture sotto si conformassero.

Le storie però, ancor più oggi, stanno cambiando i propri paradigmi strutturali, mutando la loro natura formale.

L’avvento di narrazioni collettive e sempre più coinvolgenti ha fatto spiccare il valore della co-creazione e reso relativo il valore del tempo, che si allunga e si restringe a seconda della relazione con il media.

Come dicevo su, le narrazioni sono unità minime di senso che mappano piattaforme esperienziali. Tutto si inserisce in fenomeni collettivi, perché mediati.

Il racconto come gesto si innesta in un mosaico planetario di racconti diversi, alcuni collegabili fra loro sin dalla genesi (ecco le strutture transmediali) altri invece associabili per riflesso, perché componenti di mondi che si strutturano grazie proprio alla moltitudine di contenuti.

Questa è l’epoca degli storyteller inconsapevoli.

È alla luce di queste riflessioni, di questa sorta di consapevolezza, che ieri per la prima volta ho detto una frase ai partecipanti del corso che ho tenuto: “Tutti sappiamo raccontare, il problema è che non sappiamo di farlo secondo regole precise“.

Queste regole sono parte di questa mutazione in cui le storie sono sempre più parte del nostro essere, e consapevolmente ci rendiamo conto di quanto ci possano influenzare.

Quale sarà il prossimo passo?

Probabilmente capire quanto e come ci dovremo confrontare con storie che non sono storie, ossia il frutto di imput dati artificiosamente. Il famoso prompt a ChatGPT, sistema di intelligenza artificiale su cui esistono già più corsi per imparare a interagirci che studi seri sui suoi effetti.

Io, nel mio piccolo, continuerò a viaggiare.

Con le mie Stan Smith ai piedi, lo zainetto con il computer, passando di stazione in stazione con i miei amati treni.

A caccia di storie, per capirle meglio… e magari trovare la mia.


Lo sai che oggi faccio anche il Consulente di #BrandRegenerationContattami per parlarne 🙂

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