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SMETTIAMO DI CHIAMARLA NARRAZIONE

L'abuso del termine "narrazione" ne sta cambiando il significato. Qui parlo di come dovremo impiegarlo, a mio modesto avviso.
Pubblicato il 12 Ottobre 2020

La narrazione del pugno di ferro e degli attributi s’infrange contro l’emergenza. Contagi in aumento, tamponi in ritardo, Covid hospital non pronti, nonostante la Campania sia tra le regioni che hanno speso di più per la sanità.” (Fonte)

È solo l’ultimo testo in ordine di tempo che leggo con questo concetto ben sparato in apertura, e non posso non dire la mia in proposito, anche perché bisognerà prima o poi prender posizione su questo tema.

Viviamo in una società che ha un impiego della parola “narrazione” smodato, decontestualizzato. In questo caso, serve a indicare programmi ed enunciati che descrivono delle intenzioni ma che il più delle volte vengono fatti coincidere con proiezioni che non esistono, ideali, e per questo avvicinate al mondo delle storie, intese come senza fondamento. Bugie, per certi versi.

No, non va bene: non è questo quello che significa “Narrazione”.

Il concetto di Storytelling, in una deviazione più unica che rara, ha cominciato a prendere la piega meno nobile e anche meno vicina al suo reale significato, quello appunto di descrivere in primis il frutto di un gesto innato nell’uomo per restituire i fatti, oltre che un modo di pensare l’esistente, sia esso un’azienda o un modello sociale.

Noi -e per noi intendo le persone, io che scrivo, voi che leggete- pensiamo narrativamente, lo facciamo perché ci siamo evoluti così, perché le storie ci permettono di memorizzare i dati, di comprenderli, di formarci un giudizio. La narrazione nasce dal gesto del raccontare, è ciò che si genera quando attraverso strutture articolate e dotate di senso mettiamo in fila fatti ed eventi che si susseguono con meccanismi oliati e molto precisi, caratterizzandoli: questi assumono forme definite e diversificate ma che hanno un immutabile connotazione reale, perché si fondano su un principio esperienziale fortissimo e concreto.

Ma voi pensate che esista una qualsiasi storia (o “narrazione”) che non poggi fedelmente su un principio di esperienza? Pensate veramente che una “narrazione” intesa come proiezione ideale di un principio sia la stessa cosa? Perché non è così.

Quella di cui parla l’articolo che ho linkato (peraltro rispettabilissimo e anche condivisibile nei contenuti) fa riferimento a qualcosa che non è certamente narrazione. Quando un politico racconta un qualcosa che non trova corrispondenza o descrive un qualcosa che non è nei fatti e mai lo sarà, che sta più vicino a una proiezione che non ha riscontri che a un manifesto programmatico, non sta facendo “una narrazione”. Sta facendo qualcos’altro.

Anche quando una marca vende un qualcosa che non esiste, non sta facendo narrazione. Un’azienda che fa green washing con un bel video? Quello non è “storytelling”, è green washing, appunto.

Storytelling, narrazione, raccontare sono termini quasi sacri.

Indicano una delle cose più pure di cui l’uomo dispone, la capacità di restituire esperienze e condividere informazioni, nozioni, cambiando l’altro grazie a tutto il sistema emozionale che ricarica i fatti. Nelle storie si nasconde il seme dell’immaginazione, che è anche quella scintilla scatenante che permette di costruire principi evolutivi, perché mette a sistema la mia esperienza e mi fa immaginare come cambiarla. Per questo, quando parliamo di “narrazione”, parliamo di un qualcosa che è profondamente concreto e reale.

La “narrazione” di Obama era riconducibile a una dottrina, quella riassunta dal noto claim Yes, we can. Così come esiste un’America raccontata da Trump, riconducibile a una frase ancor più dirompente: Make America Great Again. Sono concetti che generano una una precisa azione di Storytelling (con la S maiuscola), cioè la definizione attraverso principi narrativi di una visione ideale ma realizzabile, indiscutibile secondo i suoi promotori e faro nelle scelte politiche compiute: soprattutto, sono driver delsla stessa scelta

In questo caso, la narrazione guida: ed è un criterio indifferibile. Per questo, la comparazione con certe proiezioni assolutamente infondate non trovano riscontro nell’essere assimilate al termine: perché se fosse una “narrazione”, allora non si infrangerebbe contro nulla, semplicemente perché non sarebbe derogabile a ciò che si fa. Da enunciato acquisirebbe quel valore laddove effettivamente ci fosse uno scarico a terra nell’esistente, e a quel punto ciò che viviamo permette a quelle parole di diventare narrazione. L’America di Reagan fu “narrazione” perché frutto di un racconto condiviso, diffuso e memorabile, così come lo è stata ad esempio quella immaginata del succitato Obama, o per restare in ambito aziendale, è narrazione quella che fa la Lego o -per restare a un esempio molto vicino a noi- NeN.

Non ci sarebbe distinzione, sarebbe tutto in continuità.

Ecco perché dobbiamo trovare un modo per usare questo termine in maniera più idonea. Perché, a mio modesto avviso, oggi quando lo impieghiamo così, come nell’esempio, stiamo parlando di qualcos’altro. Di proclami, autopromozione o semplicemente annunci, a volte di réclame altre volte di invenzioni: parliamone di tutte queste cose, sia nel bene e nel male, ma per cortesia, smettiamo di chiamarla narrazione.

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