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Che fare con i social network

Comincio a pensare che i social network stiano fagocitando ciò che di buono hanno portato al mondo. Cosa rimarrà?
Pubblicato il 31 Ottobre 2022

Ho cominciato a stare sui social network tantissimi anni fa. Il primo che ho incontrato è stato MySpaces, quasi vent’anni or sono: prima però avevo esplorato il web 2.0 con i forum, IRC, le chat su ICQ, Messenger quando ancora era MSN, e cose simili.

Ho sempre pensato che dietro la socialità del web ci fosse un mondo di opportunità, fatto di conoscenza, di scoperta, di unità. Non mi sono mai posto il problema di che cosa potesse generare il portare tutta l’umanità in uno spazio e lasciare che l’incontro fra le persone prendesse piede e camminasse sulle proprie gambe: l’idea era così innovativa che il me ex adolescente e poi giovane adulto, rimaneva estasiato dall’immaginario così nuovo e scollegato dal novecentissimo principio di separazione dei poli.

Abusare con i social network non fa più notizia

Dall’essere iniziale terra di conquista per un manipolo di temerari (che Baricco chiamò Barbari) quel mondo oggi è civilizzato, abitato, conosciuto. Sappiamo tutto di cosa sia un social network e anzi, ragioniamo in funzione di essi più di quanto abbiamo fatto per tutti gli altri media che hanno riempito la nostra storia.
Forse solo la scrittura ha rivoluzionato di più non tanto il modo che avevamo di parlarci, ma il modo di ragionare. Prima della scrittura non si metteva a fuoco l’importanza di dare forma all’esperienza, di scollegarla dal tempo di un racconto orale: dopo, quel problema insormontabile per un uomo preistorico divenne la chiave per cominciare a evolvere. Questione di pensiero, prima che di tecnologia.

Prima dei social network, non c’era l’idea che oggi tutti noi siamo incastonati in un sistema che si regge su creatività e leggerezza: la pesantezza dell’informazione del novecento aveva generato masse informe di unità tutte uguali, da cui era difficilissimo emergere con la propria personalità. Solo il talento più puro (o la raccomandazione più efficace, sia essa clientelare o politica) poteva dare spazio all’individuo di uscire alla luce del sole, e attraverso di essa farsi conoscere, accreditarsi, magari cambiare la propria vita.

Dopo i social network è questa la chiave con cui guardiamo il mondo. La lente con cui osserviamo l’esistente è una specie di egocentrismo diffuso in cui ci siamo noi e il resto è tutto in funzione del piacere che crediamo di meritare.

Mi ha colpito molto un articolo uscito qualche giorno fa su Il Post, dove si parlava di come TikTok stia cambiando il modo di percepire il mondo. Grazie alla capacità di offrire contenuti altamente profilabili, cambia il percepito di chi osserva, fino a minarne le capacità di capire la realtà.

Con l’aumento delle feature a disposizione del canale, poi, tutto si potrà fare su TiTok, da acquistare oggetti a conoscere persone. Chi vorrà uscirne, a queste condizioni? E cosa potrebbe fare TikTok con tutto questo potere?

All’inizio dell’anno ho fatto una scelta precisa: uscire da Facebook. Lo rifarei cento volte, anche perché non mi sembra sufficiente l’effetto che ha avuto. Mi rendo conto che ancora troppo sento pressante la possibilità di buttare un occhio alle vite degli altri, di entrare in contesti non miei, ma soprattutto di aspettarmi che quel pezzo di esperienza umana mi riempia i vuoti, cognitivi, sociali, di soddisfazione. E dire che vivo in maniera attiva solo due social network, uno per gioco e l’altro per lavoro.

Però non nascondo che dopo la lettura di un certo libro, avevo cominciato ad avere domande e ancora le risposte non le ho trovate.

Proprio in virtù di quest’osservazione asettica sto cominciando a ordinare le idee su quali potrebbero essere le misure in termini di contrasto a questa deriva.

È troppo dire che i social network andrebbero regolamentati all’accesso? Che aprirli a chiunque rischia di essere un problema, laddove gli utenti non avessero una preparazione adeguata a capire come filtrare ciò che ricevono?
Di minima, un’educazione digitale che punti al comprendere ciò che si riceve, ma anche ciò che si offre, dovrebbe essere alla base per proteggere la società: oggi le piattaforme sono in grado di andare oltre il semplice orientare l’interesse per ciò che riguarda i tempi morti (si calcola oggi un individuo possa trascorrere fino a 145 minuti sui social media) ma anche il come si ragiona. Ma basterebbe?

Io non lo so.

Eppure, mi rendo conto che farne a meno diventerà la prima grande sfida per capire a fondo i bisogni della Generazione Alpha. Che nascerà totalmente immersa nel digitale e che avrà come modello i comportamenti di due gruppi generazionali che avranno avuto modo, parzialmente e totalmente, di capire come si muova il mondo proprio grazie al web 2.0, e che rischia per questo di essere la prima generazione cognitivamente completamente influenzata dal digital anche in forma indiretta. A cosa potrebbe condurre tutto ciò?

Un bel problema.

Foto di 정수 이 da Pixabay 

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