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QUALCHE CENNO SU TRANSMEDIA EXPERIENCE

Una piccola auto-recensione spoiler del mio ultimo libro, con un cenno più approfondito al modello di Narrative Mix, presentato in Transmedia Experience.
Pubblicato il 17 Febbraio 2020

Quindi, Transmedia Experience è nelle librerie, anche online.
Un mese fa siamo usciti grazie all’indispensabile aiuto di Franco Angeli, e oggi ho deciso di dedicarvi un altro post allo scopo di entrare più nello specifico della pubblicazione.

Quando Riccardo e io abbiamo cominciato a ragionare sui contenuti del nostro progetto editoriale,  abbiamo capito che c’era necessità di fare qualche riflessione che andasse oltre il concetto di Storytelling. Non che il termine fosse desueto o passato: semplicemente è che andava, in un certo senso, rinnovato.

Storytelling è una parola che è stata consumata dalla banalizzazione del suo utilizzo. La sua ascendente più nobile, poi, la Narrazione, è addirittura diventata un evergreen in ogni contesto. Nonostante “Tutto è narrazione” sia una grande verità, la banalizzazione è diventata abituale.

Eppure, stiamo parlando di qualcosa di cui bisognerebbe avere un rispetto oserei dire sacrale, un po’ come quando pensiamo alla scrittura o alla capacità di coltivare la terra.

La narrazione è una delle cose più belle che esistano.

Serviva svecchiare il modo di intenderla, quindi: declinarla in un mondo interconnesso ed espanso, dove la nostra esperienza è necessariamente agganciata al concetto di piattaforma attraverso cui la viviamo.

È stato naturale immaginare tutto questo secondo le regole del Transmedia, con tutti i modelli che si portava dietro.

Al di là però delle regole generali, era necessario provare a declinare tutto questo secondo una lettura più concreta: come effettivamente questa trasformazione umana poteva impattare sul mondo delle aziende, perché poi, volenti o nolenti, questo è il nostro mondo.

Personalmente, credo che le aziende oggi siano chiamate ad assolvere il loro ruolo nel mondo. Non perché si debba passare a una logica da mecenate o votata alla condivisione indiscriminata: ma perché non c’è alternativa.

Dopo decenni in cui l’uomo si è provato a dare sistemi di regole e valori basati su entità rappresentative, siamo arrivati ad abitare un pianeta che vive secondo le regole del mercato, non più secondo solo le regole della “polis”.

Pensateci: anche quando un governante pensa a cosa debba fare per la popolazione, si interroga su come reagirà il mercato, che è fatto (anche) da aziende, che faranno a loro volta pressione affinché sia affermato il loro diritto a sopravvivere e generare profitto.

Attenzione: non dico sia giusto o sbagliato. Credo che però sia sotto l’occhio di tutti.

L’equilibrio sottile che regge questa dimensione di dialogo oggi è in un corto circuito difficilmente reversibile: il mercato ha abituato l’individuo a vivere secondo il concetto di esperienza espansa.

In altri termini, di narrazione totale.

Non cammino con delle calzature: vivo un’esperienza di marca che parte dalla mia camminata. Non mi vesto per ripararmi dal freddo: affermo la mia personalità. Ed è tutto così, espanso, mediato e rilanciato.

Serviva un modello applicabile a ciò che l’azienda fa, e che racconta. Ed è una storia che è fatta da piani diversi che si intrecciano, dimensioni mediali che si interrogano e ragionano insieme, interagiscono e producono risultati nuovi, fino a creare universi di senso… O Storyworld.

Serviva immaginare una griglia in cui specchiarsi per capire come quest’esperienza pluripiattaforma si specchiasse, per generare quella costruzione di senso che non si limita più a cosa produco, e come, ma a ciò che questo porta.

Il purpose? Certo. Ma non solo. Perché il “proposito” di un’azienda è ciò che genera anche l’ultimo degli effetti che questa scarica sul mondo, anche il più flebile, come l’assunzione di un giovane per uno stage formativo.

Tutto è purpose. Tutto è narrazione.

Serviva un nuovo impianto che sapesse miscelare i fattori che costituiscono questa storia.

È nato così il Narrative Mix, il sistema di progettazione dell’esperienza transmediale aziendale e di marca. Un modello applicabile (per capire come, vi rimandiamo al libro!), che serve per capire cosa significhi sviluppare una narrazione che sia veramente in grado di essere vissuta e si configuri come totale.

Il Narrative Mix – © Gavatorta Milanesi

Non so se questo potrà essere il passo giusto per definire il futuro. Non so neanche se le aziende siano pronte a trovare il modo per concretizzare il loro “purpose”.

Ciò che però credo è che questo tentativo vada fatto: la Transmedia Experience è il risultato che si può raggiungere, perseguendolo.

Attendiamo i vostri feedback, ovviamente usando l’hashtag #TransmediaExperience.

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