Una delle cose che mi ero ripromesso durante il lockdown (ma ci arrivo) era di fare qualcosa per me. Non un regalo, ma un progetto. Realizzare qualcosa che fosse concretamente mio, una di quelle robe che possono diventare grandi oppure possono fallire, ma tutto sommato già il fatto che siano nate riempie il cuore di gioia. È il caso di Humanist.
Già il nome è bello. La sostanza ancora di più.
Perché Humanist è una piattaforma narrativa, che vuole scaricare a terra il bisogno che ho di raccontare quello che credo possa essere il centro di gravità permanente dei prossimi anni: le persone, nel vero senso del termine. Un produttore, un acceleratore di narrazioni, un luogo dove far incontrare narratori e innamorati di storie.
È un progetto speciale, cui voglio molto bene e che sento potrebbe far sorgere cose speciali, e che sta per cominciare, grazie al fatto che nel mentre è nato un altro progetto, sempre di valore, che ci stava dentro a pennello.
Ma andiamo con ordine, perché le cose belle richiedono tempo e val la pena raccontarle per bene, quindi mettetevi comodi, perché ora voglio entrare nel merito delle cose.
Com’è nato Humanist
Con Gav0 ci conosciamo da molto tempo, per varie ragioni che si possono sbirciare su Facebook.
La storia di Humanist comincia così, con legami speciali che si intrecciano, sembrano lontanissimi, poi si incontrano e generano cose fighe. Ma partiamo dall’inizio.
Lo scorso anno io e Gav0, fra le tante chiacchierate che facciamo, cominciamo a ragionare di un concetto che ci affascina: perché non provare a realizzare uno spazio per le persone che credono nelle persone? Fra digitale e velocità, stiamo perdendo i tempi e i modi del “rimanere umani”, che non è solo un velato riferimento a concetti più alti per risolvere problemi più grandi, quanto il descrivere la necessità di riscoprire che questo mondo sta diventando sempre più “data-centric”, “customer-centric”, “sales-centric”, ma sempre meno “human-oriented”, nel senso più puro del termine (anche se c’è chi ne comincia a parlare apertamente).
Ognuno di noi, d’altronde, oggi vive rivestendo ruoli che possono allontanare dall’essenza dell’esistenza. Viviamo in modo talmente frenetico che stiamo tagliando le radici da quell’Umanesimo che ci ha resi ciò che ci siamo, e che oggi in forme diverse dovremo ripetere.
Ecco, quindi. Io e Gav0 ci mettiamo lì, e diciamo: proviamo a mettere fuori una roba che provi a raccontare quella roba lì. Una specie di valvola di sfogo del nostro esser tante cose, non nata per diventare una roba definita in partenza: creiamola, e poi vediamo come va.
Nasce così Humanist, che si limita, complice anche il lockdown, a un’idea cui associamo un’identity e qualche idea.
Jepis e i Pionieri
Mentre penso a Humanist, comincio a prendere coscienza che il rallentamento della primavera -a parte provocarmi un’ernia cervicale- potrebbe essere l’opportunità di fare una roba che non facevo da qualche anno: guardarmi intorno. Comincio a pensare a un po’ di cose che mi piacerebbe fare, persone con cui vorrei andare oltre la conoscenza. Oltre a quella roba lì che discutevo con Gav0, ovvio.
Comincio a scrivere messaggi di qui e di lì. Conosco e riscopro professionisti, con alcuni nascono cose belle che porto in azienda, con altri passiamo ore a parlare e nascono idee che ancora devono vedere la luce.
Fra questi, riscopro Jepis. Com’è come non è, che fai, che dici, arriviamo a chiederci perché non proviamo a fare qualcosa insieme, da gestire da lontano visto che io sto a Torino, lui a Caselle in Pittari. Immaginiamo, e dato che non possiamo spostarci non possiamo immaginare tanto di più che qualcosa da governare così, come stiamo parlando.
L’idea che nasce è quella del podcast. Banale? Forse. Ma per noi è un’esperienza, poi a me manca ElecTORadio che nel mentre è diventata un’altra cosa, mi andrebbe rimettermi dietro un microfono.
Così ci diciamo “Cosa vogliamo raccontare?”.
Fa capolino di nuovo quell’idea, quella delle persone che cercano di “rimanere persone”, di rallentare, di provare altre vie per sentirsi a posto con i propri desiderata, che hanno costruito la propria vita in nome di passione, indipendenza e coraggio. Ci sembrano esploratori, mentre ne parliamo. Ne parliamo come stessimo tratteggiando l’identikit di novelli Indiana Jones.
Il termine che ci scegliamo è Pionieri. Gente che ci piace pensare che forse sarebbe bello anche imitare nel coraggio. Cominciamo a indagare fra le nostre conoscenze, fra gli amici degli amici, e scoviamo storie nel vero senso delle parole. Storie ricche di fascino. Storie che ci colpiscono.
Contattiamo le persone. Le coinvolgiamo. Le intervistiamo. Cominciamo a smanettare con Audacity, fino a trovare la quadra. E, dopo un paio di mesi di lavoro, ecco il risultato.
Non so dire se sia bello o brutto. So però che è nostro, che è vero, e che le storie sono storie che vale la pena ascoltare. Tipo quella di Daniela Diletti, che è la prima puntata e che è già disponibile.
Le altre arriveranno nelle prossime settimane.
#Pionieri e Humanist, insieme
Se siete dei bravi osservatori, avrete notato che l’identity di Humanist e quella di #Pionieri si rassomigliano. Avete ragione: sono entrambe frutto di Gav0.
Non sono uno di quelli che fa lavorare il proprio cugino gratis sulle cose: semplicemente, quando abbiamo cominciato a realizzare Pionieri, mi sono reso conto che nelle nostre mani stava nascendo già il primo contenuto di Humanist. Ho raccontato a Jepis cosa stavo progettando con Gav0, e a Gav0 cosa stavo progettando con Jepis.
Ci siamo ritrovati sotto questo cappello concettuale, insieme, e insieme abbiamo deciso di proseguire. Per ora non abbiamo che una URL che si sta per riempire, Humanist.life, e un canale Spreaker. Presto però ci sarà altro, e non sarà più solo un podcast: ne sono e ne siamo convinti.
Se volete maggiori informazioni abbiamo anche un’email dedicata: scriveteci, se volete saperne di più.